Mi piace muovere piccoli passi per sperimentare prospettive più fluide. Sostando, creo in me solo desolate aspettative.

La staticità, come una camicia di forza impercettibile, ci vincola nel compasso claustrofobico d’esistenze codificate.

Quando si è immobili, la relazione con l’esterno si dipana attraverso morbidi stereotipi.

Il movimento ben calibrato ci fa evadere dalle nostre comfort zone. Ci connatura, assegnandoci coordinate impreviste di longitudine e latitudine. È la scappatoia più efficace ai lacci del conformismo.

Scrivendo poesia provo a sondare sfaccettaure in penombra per costruire, attraverso fragili intuizioni, l’asse portante tra il chi sono e il chi sarò.

Del viaggio m’intriga l’occasione che mi è concessa di porre e pormi domande. Di ledere certezze monolitiche senza necessariamente colmare il vuoto con altri dogmi. Di non fossilizzarmi su una direttrice permanente per pensare il mondo a mia immagine e somiglianza.

La cucina mi appassiona. Ho frequentato anche dei corsi. Alcuni all’estero. Ma non m’interessa eccellere. M’interessa piuttosto testimoniare il modo in cui gli altri eccellono.

La cucina sviluppa sintonie. E solide sinergie. È un abbraccio sensoriale che ci si scambia. Mi piace connettermi ad anime affini, cucinando.